
Il diritto di abitazione è regolato dall’art. 1022 del Codice, il quale afferma che “chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia”. Tale diritto, che può essere riconosciuto solo a persone fisiche e non giuridiche, consente esclusivamente al soggetto titolare del diritto, definito “habitator”, e alla propria famiglia di abitare l’immobile, dunque l’habitator non potrà destinare l’immobile oggetto del diritto ad altri utilizzi. Caratteristiche fondamentale dell’immobile è l’abitabilità.
Attraverso l’art. 1023 del Codice Civile vengono vietate attività di cessione o dazione in locazione del diritto preso in esame. L’art. 1024, invece, afferma che su coloro che sono titolari di questo diritto ricadono tutte le spese di coltura e delle riparazione ordinarie, oltre il pagamento dei tributi. Questo diritto può essere costituito o attraverso un contratto (atto pubblico o scrittura privata) tra proprietario e habitator o attraverso un testamento. Sussistono comunque dei casi in cui questo diritto sorge per legge o a seguito di una sentenza del giudice.
Il diritto di abitazione ha carattere temporaneo, ciò significa che la sua durata non potrà eccedere quella della vita del titolare. Può essere estinto a causa della morte del titolare, ma anche per altre ragioni, come la rinuncia del titolare stesso, la scadenza di un termine previsto dal contratto, il perimento dell’immobile e, infine, la consolidazione. Un caso particolare di costituzione ex lege del diritto di abitazione è quello previsto, in caso di morte, in capo al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza coniugale che viene acquisito subito dopo l’apertura della successione ereditaria.
L’art. 540 del Codice Civile dichiara che il coniuge, anche se dovesse concorrere con altri chiamati, avrà comunque il diritto di abitazione vitalizio sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, sempre se di proprietà del defunto o di entrambi. Attraverso la Legge Cirinnà (76/2016) questo diritto è stato esteso anche al partner in caso di unione civile: vi è tuttavia una differenza, ovvero in caso di morte del proprietario il convivente superstite avrà diritto di continuare ad abitare nella casa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni ma non oltre i cinque anni. Se però nell’abitazione dovessero coabitare figli minori o disabili del convivente superstite, questi avrà diritto di abitazione per un periodo non inferiore ai tre anni.